Sorgono-Biru ‘e Concas: misteri e scoperte del Sito Sacro

Allineamento di Menhir
Sorgono – Biru ‘e Concas – Allineamento di Menhir

Agabbaduuuu, apo Ispìciuuuu”

 “Millu mih”, pensai tra me e me.

 Quell’ urlo era famoso. Si trattava di tiu Oghe, su Mastru ‘e Pedra (maestro della pietra). Ero intenta a giocare con le mie amichette, nel cortile grande, quando udii quella voce. Era giunta l’ora, dovevo comunicare la novità a mia madre; lasciai l’allegra compagnia, presi la mia bambolina Dodda, e mi precipitai da lei.”

-”Ma’, ma’ piga luego, su Mastru ‘e Pedra l’at bogada de cabu, ajò a bidère. Curre, pigamus lestras!”-(Mamma, dai sali, il maestro ha terminato la sua opera)

Mia madre era impegnata nel suo lavoro quotidiano: era ceramista. Passava tutte le mattine ad impastare, plasmare il materiale per creare ciotolame destinato non solo a noi del centro di Lò, ma anche a chi, venendo da lontano, le voleva scambiare con altri oggetti. Un nostro modo di commerciare. Ero visibilmente agitata, quando arrivai da mia madre. Ella mi vide e sorrise, capì tutto, mi prese per mano e, insieme, salimmo verso la cava del maestro. Mia madre era più lenta di me; mollai la sua mano ed iniziai a correre. Ero bramosa; volevo raggiungere quanto prima tiu Oghe. Nella foga, persi una scarpa, ma non faceva nulla, la avrei ripresa al rientro. Giunta a destinazione, aspettai mia mamma, che, a fatica mi stava raggiungendo. Ah, non mi sono presentata, io sono Edra, del territorio di Lò e sono la pro-nipotina della famosa Bonacesa, mia bisnonna. Modestia a parte, era una delle migliori sacerdotesse di tutta la terra conosciuta. Purtroppo non si può vivere oltre i 200 anni. Morì prima di arrivare ai 180. Era d’una bontà unica, la sua dimora era un crocevia di persone malate, bisognose, non solo di riti o pozioni medicamentose, ma anche di buone parole: curava cuore, corpo e mente. Fu per questo che il gran consiglio dei territori di , Talei, Nolza, Biduvè e tanti altri decisero di fare una statua che la rappresentasse con la funzione di ricordare, per sempre, a tutti gli uomini e donne della terra dei vivi, la grande Bonacesa.

 Mamma era arrivata. Insieme ci dirigemmo da su Mastru ‘e Pedra. Lui ci aspettava. La statua, per rimanere riservata, era coperta con del copioso fogliame. Pian piano il maestro la liberò dalle foglie. Dopo questa lenta operazione ecco la statua … Ma chi era quel masso lungo senza occhi, bocca, braccia:

– “noooo” – gridai:

– “custa no este jaja mia; custa est unu cantu de pedra e malefatu puru.” – (non è mia bisnonna, non le rassomiglia)

Iniziai a piangere, un pianto infinito ed inconsolabile. A nulla valsero le spiegazioni di mia madre e di tiu Oghe, alle quali si aggiunsero quelle del saggio Sorgon, accorso per le mie lacrime. Sorgon iniziò a parlare, parlare e parlare. Ma nulla di fatto. Io non riconoscevo, in quel masso deforme, la mia nonnina. Ad un certo momento, il saggio indicò la mia bambolina Dodda proclamando:-

 

Ite est custa? Sa pupia tua? Abaida.la ene, non gighet ojos, buca, ma tue bides una criadura, eo bido unu cantu de linna ebbia; como ispèria bene sa pedra de tiu Oghe, comente faghes chin san pupia e as a torrare a bidère a mannedda tua” (Questa è la tua bambolina? Osservala bene, per me è un pezzo di legno, eppure, tu vedi una pupa)

 Mi asciugai le lacrime e, guardai bene Dodda.

“In effetti, io vedo una pupa, ma in realtà è un pezzo di legno, seppur ben lavorato” pensai.

Poi pian pianino mi avvicinai alla statua, le girai attorno. Di colpo come per incanto, riconobbi la mia cara Bonacesa:

– e rivedo lei in quel masso che prima mi pareva impossibile rassomigliare. –

Est abberu issa!” Esclamai.

 Era talmente somigliante che la avrei voluta tenere “sempre” accanto a me. Ma era una cosa irrealizzabile, giacché lei era destinata ad un luogo sacro.

Ma proite pròpriu in cue” (Ma perché proprio lì) domandai al saggio Sorgon.

Egli, prese un po’ d’acqua ed inumidì il terreno dicendomi

Bati su pe’, su iscultzu, pone.lu inoghe; gai as a lassare sa trata” (posa il piede qui, quello scalzo, lascerai l’impronta sul terreno)

Il Saggio, prese un ramoscello e divise l’impronta del mio piede in due, con una linea che la tagliava di lungo, poi segnò un’altra linea perpendicolare, più corta, dividendo la mia impronta in quattro parti. Aggiungendo:-

Ispèria, faghe in contu chi custu no siat unu pe’, ma sa terra nostra. L’apo partida innantis in duos e posca in bàtoro. Inue si rujant sas linias est su “logu sacru” inue su chelu at fatu paghe chin sa terra. Donna manna tua che l’amus a gìghere a su logu pius sacru de sa terra connota.” (vedi, immaginati che questa sia la nostra terra, la ho divisa prima in due, poi in quattro. Nel punto dove le linee si incontrano è il posto dove il cielo ha fatto pace con la terra. È il punto sacro per eccellenza)

 Con una grande cerimonia, dopo poco tempo, la statua di Bonacesa fu collocata nel Sacro Luogo, posizionata tra le prime statue del terzo semicerchio.

 Da quel dì, sono passati tanti anni, ma ogni volta che vado dalla nonnina riconosco la sua sagoma, come riesco a vedere tanti corpi con altrettanti volti di persone che hanno vissuto prima di me, e di nuove ne aggiungeranno; statue che rappresentano persone che sulla terra hanno vissuto come delle divinità.

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Biru ‘e concas“ è così che al giorno d’oggi viene chiamato il sito sacro, ricco di rigogliosa vegetazione e di acqua della località Coa ‘e Sa Màndara in quel di Sòrgono

 Nel settembre 1988, un agricoltore, segnalò al signor Francesco Manca, ex sindaco di Sorgono, il rinvenimento di una coppella scolpita su di un concio nel suddetto territorio. Il signor Manca, non era estraneo a questo tipo di scoperte; tempo addietro, quando per motivi di lavoro si trovava a Laconi, nel Sarcidano, aveva partecipato, con alcuni archeologi ed appassionati, a diverse perlustrazioni nel territorio, scoprendo così decine di statue menhir, sotto la direzione dell’archeologo Enrico Atzeni, di concerto con la soprintendenza di Sassari e Nuoro.

Ebbe così origine -data la mole di reperti rinvenuti- la nascita del Museo delle Statue Menhir di Laconi. La storia da pioniere del signor Manca pare che non si sia fermata a Laconi. Quella nuova coppella, aveva attirato su di sé la sua attenzione a tal punto che si avviò a perlustrare quel “nuovo” sito. Incanto, meraviglia, quella coppella non era altro che un indizio, il primo, di una lunga serie. Da buon intenditore qual era, il signor Manca individuò un altro masso con coppella. Ma non solo, dal terreno si delineavano dei macigni con foggia che riconduceva ai menhir. L’esplorazione continuò in tutta la collinetta fino a che non apparve evidente che si trattava di un luogo sacro. Dal terreno affioravano menhir di granito, disposti a semicerchio, e poi altri ancora. Alcuni aniconici, altri antropomorfi. Continuò il giro d’ispezione sino in cima alla collina, dove trovò altri menhir disposti a semicerchio, essi erano almeno una cinquantina. Si trattava di menhir proto-amorfi, tra i quali due istoriati; uno col volto ed un pugnale nella parte centrale, l’altro con naso ed occhi (in stile simile alle statue-stele di Laconi). Il tutto pareva incredibile agli occhi del signor Manca. Chiamò il prof. Atzeni e tutto il gruppo di Laconi. Le ricerche ed i ritrovamenti proseguirono sino ai primi anni del nuovo millennio, quando altri menhir furono scoperti, raggiungendo la cifra di quasi 200 statue. Dal 1994 sul sito, interviene la sovrintendenza, ufficializzando i rinvenimenti. Sulla sommità della piccola collina è situato un Nuraghe (Bidu ‘e Concas) mentre di lato si scorge una muraglia. La zona è popolata di enormi ciclopi di pietra dalle forme arrotondate. Niente mi impedisce di pensare che da lì il Mastru ‘e Pedra arcaico abbia attinto il materiale per la creazione dei menhir. Negli ultimi anni, il ritrovamento di un altro masso ricco di piccole coppelle, facente parte di un’altra muraglia, porta a pensare che il mistero di Biru ‘e Concas non sia ancora stato del tutto risolto.

Già: il mistero, le scoperte ed i riposizionamenti dei menhir … Quanti enigmi, vecchi e nuovi, in quel sito. Quando andai a Sorgono per ammirarli correva l’anno 2002; molti erano ancora distesi al suolo, ancora ricoperti di terra, disposti a semicerchio, altri erano ancora sottoterra. Ci sono ritornata, varie volte, anche di recente, e mi sono resa conto che i menhir sono tutti collocati e sistemati in lunghi filari diritti. Il motivo è a me sconosciuto, ma leggendo le dichiarazioni di Manca, pare che siano stati riposizionati in maniera non consona alla posizione che avevano durante il rinvenimento. Perché? Non so e non posso dare nessuna spiegazione, certo è che se è vero che sono stati ricollocati in maniera diversa, gli studi del caso saranno assolutamente inesatti. Mi spiego meglio: è come se, in una scena del delitto, qualcuno manometta tutto, portando poi, l’investigatore ad una totale confusione e spingendolo a trarre conclusioni del tutto inesatte.

Ma un altro mistero aleggia su Sorgono. Biru ‘e Concas si trova esattamente nel 40° parallelo che taglia la Sardegna in due parti, con una perfezione certosina (le coordinate del sito sono: 40°00’39″N   09°01’53″E). Il sito si trova nel centro esatto della Sardegna. Per taluni è un punto astrologico importantissimo, ma sinché non si ricollocano i menhir nella posizione originale non potremo mai capire l’effettiva essenza di questo luogo preistorico.

Biru ‘e Concas, che tradotto significa “viottolo delle teste”, rimane un luogo magico, misterioso ed enigmatico. Erroneamente viene chiamato la Stonehenge sarda, dal momento che il sito sardo risulta essere molto più arcaico di quello inglese. Le statue sono di diversi periodi, dal Neolitico recente (3500-2800 a.C.) all’Eneolitico (2700-1700 a.C.). Ciò che le accomuna tutte è il fatto che, osservandole, pare di vedere delle persone, non semplici pietre fitte. Come Edra, la bimbetta del racconto, anch’io, in principio, ho avuto difficoltà, ma se le si guardano bene, notiamo il loro volto, il loro fisico. Ci sono quelle alte, le basse, le robuste e le magre; basta un attimo per entrare in sintonia con loro … Ed è allora che ci paiono delle persone del passato pietrificate; talvolta sembra che ci seguano con i loro sguardi, in quei volti, per assurdo, senza viso e senza occhi. Ma che magia è questa, se ancor oggi queste pietre ci fanno emozionare, ci rapiscono e ci inondano di una rarissima aura di beatitudine e di pace dei sensi.

E chi erano questi personaggi, importanti a tal punto da edificare un gigantesco monumento che li rappresenta? Non siamo in grado di rispondere. Anche questo è un mistero che si aggiunge alla lunga fila di enigmi del territorio di Sorgono. L’unica cosa certa è che la terra di Sardegna è un ricco ed arcano scrigno il cui contenuto è ancora, in parte, incomprensibile all’intelletto umano.

All Rights Reserved © 2024 – Testo: Piera Farina-Sechi
All Rights Reserved © 2022 – Foto: Bruno Sini

Orune: Area Archeologica di SANT’EFIS

Esitono dei luoghi magici in Sardegna, al punto che, camminandoci sopra, si ha la netta sensazione di attraversare la storia a ritroso sino a giungere molto, molto addietro nel tempo. Secoli e secoli di storia, concentrati tutti in un unico territorio. Pare che qui il nostro passato sia rappresentato da stratificazioni che si sovrappongono, come le civiltà che vi si sono, via via, susseguite, col trascorrere della storia. Siamo ad Orune, esattamente nel territorio di Sant’Efisio a 750 mt, circa, sul livello del mare. Immerso in una fitta boscaglia troviamo il complesso di Sant’Efis, un insieme di costruzioni di varie epoche. Citato da Goffredo Casalis (storico 1781/1856) che assieme a Vittorio Angius (storico 1797/1862), nel Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di s. m. il re di Sardegna, scrivono di Sant’Efis: – “Sono in questo territorio ancora visibili le vestigia di alcune antiche popolazioni intorno alla chiesa di Sant’Efisio, dove scavando, si scoprono molte e solide fondamenta con rottami di tegole, di vasi ecc. ecc.”-.

Anche Antonio Taramelli (archeologo 1868/1939) nel 1931 cita più volte il sito. Questa area archeologica fu frequentata, per via della chiesa, sino ai primi decenni del secolo scorso. Poi fu completamente abbandonata. Al 1992 risale la prima campagna di scavi; da quell’anno si sono susseguite numerose altre spedizioni archeologiche, sino ad arrivare al 2007, data dell’ultima campagna. Ma vediamo che cosa c’è in questo magnifico luogo e perchè è così importante. Le prime tracce di presenza umana ci riportano al periodo Neolitico; si cita l’esistenza di un Menhir; ma osservando bene si notano numerose pietre lisciate dall’uomo. Il Nuraghe si erge su di un enorme spuntone di roccia. Si tratta di una massiccia costruzione che io ho trovato molto singolare; la sua sommità pare sia creata appositamente per raccogliere le acque piovane, me lo fa pensare la presenza di pochi piccoli gradini e diversi scoli che forse, un tempo, erano delle minute aperture che servivano per far fuoriuscire l’acqua raccolta. La presenza di un pozzo, nel villaggio che circonda il Nuraghe, ci ricorda che quel territorio, nel periodo nuragico era intensamente abitato. Il villaggio nuragico, in seguito, con l’arrivo dei romani, è stato parzialmente modificato, o meglio, diciamo, adattato alle loro esigente costruttive. Sorsero, successivamente, dei nuovi edifici romani. E sì, grazie alla presenza certificata del popolo romano, la mitica barbagia perde il titolo di inconquistabile ovvero cade l’assioma secondo cui i territori barbaricini non vennero “mai invasi dai romani”. Ma cosa ci facevano i romani da quelle parti? E perchè si sono insediati proprio lì, staziandosi e creando un loro villaggio? Alcuni studiosi collocano in questo sito di Orune la Caput Tyrsi (capo o sorgente del Tirso). Ho sempre saputo che la vera Caput Tyrsi si trovava nel territorio di Buddusò, dove adesso si trovano le rovine di “Sos Muros“; non credo che i romani si siano potuti confondere, scambiando le sorgenti del fiume Tirso per qualche altra cosa.

Tra la sorgente del Tirso a Buddusò ed il sito di Sant’Efis di Orune corrono circa 13,5 km in linea d’aria e non meno di 20 percorrendo una qualunque strada. Un errore di valutazione troppo ampio per poter essere credibile. Vero è il fatto che esisteva una strada che dalla zona dell’attuale Olbia conduceva a Calaris (la attuale Cagliari), il cosiddetto “Itineraio Antonino”, come ci spiega lo studioso M. Pittau: ”Itinerarium Provinciarum, stilato sotto l’imperatore M. Aurelio Antonino, detto «Caracalla» (211-217), indica in Sardegna, un tracciato di strada che andava da Olbia a Caralis passando nella zona interna e montana dell’Isola e toccando queste tre mansioni o stazioni intermedie tra cui Caput Tyrsi …” Ma, esisteva anche la strada che dal centro della barbagia (Orune e territorio circostante) conduceva al Portus Luguidonia o Feronia (tra Posada, Siniscola e la sua caletta). Data la presenza di numerosi residui di derrate alimentari (area romana) trovate presso il sito di Sant’Efis, assieme a ciotole, anfore ecc. ecc., altro non poteva essere che una zona di ristoro e di scambi commerciali, un pò come lo sono gli odierni “Motel” con annessi bar e ristoranti che troviamo nelle nostre strade. Nota curiosa ed interessante è quel che ci dice sempre lo storico M. Pittau a proposito del nome della località (Sant’Efis) nel suo saggio intitolato:

“Caput Tyrsi «Il guerriero Efisio ha combattuto i barbaricini» “.

Secondo il prof Pittau, Efisio (santo venerato in tutta la Sardegna e morto martire (decapitato) a Nora nel 303/305 d.C., essendo un militare delle milizie romane, combattè contro i barbaricini e proprio questo di cui parliamo è uno dei pochi luoghi, nella zona, in cui, da diversi secoli, si ricorda il santo. Esiste anche un colle che viene chiamato “monticello del martire”, a lui dedicato, secondo Pittau. Tra i rinvenimenti di questo luogo, ciò che mi ha particolarmente colpito è il ritrovamento di un calice romano in vetro. Spesso ho sentito dire che il vetro, in Sardegna, si sia iniziato a lavorarlo in un periodo molto tardo … e se in quella zona ci fosse stata proprio una fabbrica del vetro? Illusione la mia, ma chissà… La chiesetta di Sant Efisio viene datata al periodo bizantino, ma è ancora in fase di studio la sua precisa collocazione storica. La zona dall’ultima campagna di scavi (2007), attende l’inizio di nuove indagini da parte delle autorità preposte, come, più volte, le stesse autorità municipali hanno sollecitato. Infatti, data l’importanza acquisita dal sito, il comune di Orune vorrebbe renderlo fruibile al grande pubblico.

Ancora una volta fascino e mistero avvolgono la nostra storia, e perchè no, ci auspichiamo che il ritrovamento di quel calice possa essere il preludio di un brindisi per una prossima e celere apertura al pubblico di questo incantevole sito che potrebbe essere un vanto ed una fonte di ricchezza per Orune, il suo territorio e per tutta l’isola

All Rights Reserved © 2018 – Testo Piera Farina-Sechi  –

All Rights Reserved © 2018 – Foto Bruno Sini 

Sardegna: Gli Antichi Sardi: una civiltà di ignoranti, rozzi e disuniti o che altro ?

Da poco abbiamo pubblicato un post sulla Fonte Nuragica Sos Muros – Buddusò; partendo proprio da questa zona di riferimento, non possiamo non tenere conto del fatto che questa fonte e l’annesso villaggio nuragico, in territorio di Buddusò, distano solo due chilometri e mezzo dal Villaggio e Santuario Nuragico (con annesso pozzo sacro) di Su Romanzesu-Poddi Arvu, in agro di Bitti e che a non più di due chilometri e trecento metri troviamo il villaggio preistorico di Seris, al confine tra i territori di Osidda e Bitti. Stiamo parlando di tre grossi villaggi preistorici, ciascuno con centinaia di capanne e costruzioni di vario tipo, che si estendono, ognuno, per svariati ettari.

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Se allarghiamo un pò il campo, ad 11 chilometri dall’area di Seris, direzione Sud-Ovest, in territorio di Orune, abbiamo il villaggio nuragico e poi romano di Sant’Efis, con annesso Nuraghe, Pozzo Sacro ed Area Sacra ed altre numerose strutture mentre a 15 chilometri da Seris, direzione Est Nord-Est troviamo tre grossi villaggi preistorici in territorio di Pattada (Litu Pedrosu Mannu, Litu Pedrosu Pitzinnu e Sedda Otinnera), tutti con Nuraghe ed altre numerose strutture preistoriche annesse.

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Una caratteristica comune a questi grossi villaggi, in gran parte, ormai purtroppo, allo stato di cumuli di macerie, è il completo e totale abbandono, cosa che ne accelera, in modo repentino, la rovina ed il degrado assoluto; unica eccezione il sito di Romanzesu – Poddi Arvu perchè egregiamente gestito, valorizzato e tutelato  dalla cooperativa Istelai di Bitti. É solo un caso questo stato di abbandono generalizzato o dietro c’è qualcos’altro?

É normale che si investano soldi per studiare siti medievali quando non conosciamo la nostra vera essenza di sardi e lasciamo andare in malora i nostri siti più importanti e rappresentativi?

Noi siamo convinti che estendendo questo studio a sezioni di territorio piu vaste, si possa identificare una capillare rete di villaggi, alcuni di dimensioni veramente imponenti, tanto da poter essere definiti come delle vere e proprie città, che sicuramente erano in stretto collegamento reciproco.

Tutto ciò a voler significare che, contrariamente a quanto sostenuto da certa archeologia ufficiale e accademica, la Sardegna, nel periodo d’oro della cultura degli Antichi Sardi, era densamente popolata ed aveva delle città di grosse dimensioni, molto complesse e perfettamente organizzate dal punto di vista sociale, con piazze, vie, edifici comuni e punti di aggregazione oltre ad ampie strutture di culto dei morti e di venerazione delle acque e delle entità superiori.

Insomma gli Antichi Sardi erano tutt’altro che disorganizzati, incolti, primitivi ed ignoranti.

Testo :    Bruno Sini – All Rights Reserved © 2017

Foto:       Bruno Sini – All Rights Reserved © 2017