Ozieri: Pozzo Sacro Di MONZU (1300 a.C.)

E M’APO BIDU ADDAINANTIS UNU SIDDADU

( “E MI APPARVE UN TESORO” )

Sono queste le parole, ripetute spesso da mio padre ogni volta che mi raccontava quel che visse tantissimi anni fa. Torniamo indietro nel tempo, alla prima metà degli anni 60; siamo ad Ozieri, esattamente in quel di Monzu, località nella regione denominata “Sa Costa”, famosa per l’omonima cittadina nuragica e quella medioevale. Nel mondo delle campagne nascono, tra gli allevatori, delle amicizie indissolubili, che, a lungo andare, diventano dei veri e propri legami familiari. L’amicizia tra mio padre e tiu Dindia divenne, nel tempo, un ferreo sodalizio: vicini sì, ma vivevano come fossero fratelli. Saggezza da parte di Dindia e modernità tecnologica da parte di mio padre, Barore. I due stavano spesso assieme e si aiutavano l’un l’altro.
Un giorno Dindia chiese a mio padre se avesse potuto dargli una mano nel ricercare una vena d’acqua nella sua tenuta. Già tracce di acqua erano apparse in zona, ma occorreva scoprire la sorgente. L’area individuata era accanto ad un vecchio “camineddu” (viottolo di campagna) ed un muro di confine, molto sotto la collina dove regnava, incontrastato, il Nuraghe Monzu e le vestigia di quella che fu, un tempo, una vera cittadella nuragica.
Barore decise di intervenire con l’aiuto di un mezzo agricolo e, dato il luogo, non usò un mezzo pesante, preferendo un piccolo trattore con una minuta pala, cercando, in tal modo, di essere il meno invasivo possibile in quella ricerca.
I lavori iniziano. Era una mattina di settembre del 1965, cielo azzurro, clima mite, quando, dopo aver smosso diversi strati di terra, avvenne un inaspettato crollo!!! Barore bloccò il trattore e scese di corsa, guardò Dindia ed esclamò
E ite est? Proite nd’est faladu totu? Ite b’at suta? – .
(- Che sarà mai? Come mai è crollato tutto? Che c’è sotto? -)
Dindia, visibilmente spaventato, fece spallucce, mentre in compagnia di Barore si avvicinò alla zona del crollo. Con cautela e delicatezza, giunsero alla
cavità creatasi dallo sprofondare della terra. Non credettero ai loro occhi. Era come se avessero scoperto uno dei tesori più belli al mondo.
Barore disse:
Non bi poto crèere, custu logu fit tancadu e cuadu pro mizas de annos. E nois semus fortunados a èssere sos primos chi ant bidu custa bellesa; semus sos testimonzos de s’istòria.
(- Non ci posso credere, questo sito è rimasto chiuso per migliaia di anni. E noi siamo stati fortunati ad essere i primi che hanno visto questa
bellezza: siamo i testimoni della storia -)

Dindia aggiunse:
No amus agattadu s’abba ebbia ma maigantas testimonias de sos antigos.
(- Non abbiamo trovato solamente l’acqua ma anche tantissime testimonianze dei nostri antenati -)
All’interno della cavità c’erano decine e decine di ciotole, oggetti vari, ex voto, lucerne votive e diverse fiaccole e torce di legno annerite sulla punta. Ora non restava che coprire il tutto e comunicare alle autorità competenti ciò che avevano ritrovato. Chiusero il tutto con dei teloni e si precipitarono ad Ozieri dai carabinieri. Denunciarono il fatto, e dato che parliamo di oltre 50 anni fa, chi si interessava di archeologia erano anche alcuni prelati, tra cui Don Pigozzi. Mio padre parlò anche con lui, spiegando tutto in ogni minimo particolare e, aggiungendo che dato che il sito era ricco di reperti, occorreva che “urgentemente” fossero messi in sicurezza.
I carabinieri, avevano il compito di comunicare il tutto alla soprintendenza. I giorni passarono, ma nella tenuta di Dindia non si presentò nessuno. Ovvero così pareva ai due ignari ed onesti cittadini (Barore e Dindia) Una mattina, Dindia andò a controllare il telone che ricopriva il pozzo, dato che faceva vento, voleva risistemarlo alla bell’e meglio. Purtroppo ebbe una grande sorpresa !!! Qualcuno, durante la notte, aveva fatto visita al sito, alleggerendo, e non di poco, lo stesso, dei reperti. Nessuno sapeva, eccetto i due scopritori, le forze dell’ordine ed il prelato. Ma chi andò a colpo sicuro sul sito? Barore e Dindia andarono dai carabinieri a denunciare il furto … ! Dopo qualche giorno, Don Pigozzi visitò il sito e, dopo diverso tempo anche la soprintendenza si fece viva. Questa storia mio padre me la racconta spesso, data la mia passione e, quando ricorda l’attimo del ritrovamento, i suoi occhi verdi si illuminano lasciando trasparire la sua profonda emozione.
Mi dice:
– Tue non podes cumprèndere ite cheret nàrrere ad èssere istadu su primu a àere bidu cussu putu; innantis de a mie, de seguru, lu aiant bidu sos nuràgicos, mi paria Carter in sas piramides de s’Egitu, e m’ammento de su fele chi nos amus leadu deo e Dindia cando si che fureint agiummai totu !!! -.
(- Tu non puoi capire che vuol dire essere stato il primo ad aver visto questo pozzo, prima di me, ne sono certo, lo videro i nuragici. Mi sembrava di essere Carter nelle piramidi egiziane; e ricordo bene la rabbia che provammo, io e Dindia, quando scoprimmo il saccheggio del sito archeologico. -)
Ma, in realtà, che trovarono Dindia e Barore? Si tratta di un pozzo nuragico (uno dei 4 presenti nel territorio) costruito con pietre lisciate o appena abbozzate, utilizzando la classica tecnica prettamente nuragica, secondo le varie esigenze costruttive. Purtroppo col passare degli anni e dell’incuria, la parte anteriore del pozzo è crollata e, dietro consiglio e guida della soprintendenza, negli anni 70, tiu Dindia, proprietario del fondo, costruì un muro con annessa finestrella per proteggere il pozzo da un altro eventuale e distruttivo crollo. Questi lavori di messa in sicurezza hanno fatto sì che si potesse utilizzare l’acqua dato che il pozzo offre, ancor oggi, il prezioso fluido in abbondanza.

Per come era strutturalmente edificato non possiamo far altro che pensare che seguisse lo stesso schema che troviamo in molti pozzi sacri.
La particolarità di questo pozzo sta negli oggetti che si trovavano all’interno; alcuni di questi furono risparmiati dagli ignoti visitatori e, fortunatamente, furono acquisiti dal Museo Sanna di Sassari. Come già detto trattasi di vasi di diverse dimensioni ed ex voto (lucerne) … ma ciò che stupì maggiormente fu il ritrovamento di torce e fiaccole di legno con la punta carbonizzata; oggetti che, sino ad allora, mai vennero rinvenuti all’interno di un sito nuragico.
Mi viene da pensare (e non sono la sola) che qui, oltre a celebrare riti in onore dell’acqua si celebrassero anche quelli per il fuoco, considerato che entrambi questi elementi erano indispensabili per la loro esistenza; oppure, più semplicemente, le torce servivano per illuminare la notte quando si svolgevano le cerimonie che avvenivano dopo il tramonto del sole, come mio padre stesso pensò non appena gli si svelò in tutta la sua bellezza e ricchezza il pozzo ed il suo tesoro

Testo Piera Farina-Sechi – All Rights Reserved © 2018
Foto Bruno Sini – All Rights Reserved © 2017

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