Orune: Area Archeologica di SANT’EFIS

Esitono dei luoghi magici in Sardegna, al punto che, camminandoci sopra, si ha la netta sensazione di attraversare la storia a ritroso sino a giungere molto, molto addietro nel tempo. Secoli e secoli di storia, concentrati tutti in un unico territorio. Pare che qui il nostro passato sia rappresentato da stratificazioni che si sovrappongono, come le civiltà che vi si sono, via via, susseguite, col trascorrere della storia. Siamo ad Orune, esattamente nel territorio di Sant’Efisio a 750 mt, circa, sul livello del mare. Immerso in una fitta boscaglia troviamo il complesso di Sant’Efis, un insieme di costruzioni di varie epoche. Citato da Goffredo Casalis (storico 1781/1856) che assieme a Vittorio Angius (storico 1797/1862), nel Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di s. m. il re di Sardegna, scrivono di Sant’Efis: – “Sono in questo territorio ancora visibili le vestigia di alcune antiche popolazioni intorno alla chiesa di Sant’Efisio, dove scavando, si scoprono molte e solide fondamenta con rottami di tegole, di vasi ecc. ecc.”-.

Anche Antonio Taramelli (archeologo 1868/1939) nel 1931 cita più volte il sito. Questa area archeologica fu frequentata, per via della chiesa, sino ai primi decenni del secolo scorso. Poi fu completamente abbandonata. Al 1992 risale la prima campagna di scavi; da quell’anno si sono susseguite numerose altre spedizioni archeologiche, sino ad arrivare al 2007, data dell’ultima campagna. Ma vediamo che cosa c’è in questo magnifico luogo e perchè è così importante. Le prime tracce di presenza umana ci riportano al periodo Neolitico; si cita l’esistenza di un Menhir; ma osservando bene si notano numerose pietre lisciate dall’uomo. Il Nuraghe si erge su di un enorme spuntone di roccia. Si tratta di una massiccia costruzione che io ho trovato molto singolare; la sua sommità pare sia creata appositamente per raccogliere le acque piovane, me lo fa pensare la presenza di pochi piccoli gradini e diversi scoli che forse, un tempo, erano delle minute aperture che servivano per far fuoriuscire l’acqua raccolta. La presenza di un pozzo, nel villaggio che circonda il Nuraghe, ci ricorda che quel territorio, nel periodo nuragico era intensamente abitato. Il villaggio nuragico, in seguito, con l’arrivo dei romani, è stato parzialmente modificato, o meglio, diciamo, adattato alle loro esigente costruttive. Sorsero, successivamente, dei nuovi edifici romani. E sì, grazie alla presenza certificata del popolo romano, la mitica barbagia perde il titolo di inconquistabile ovvero cade l’assioma secondo cui i territori barbaricini non vennero “mai invasi dai romani”. Ma cosa ci facevano i romani da quelle parti? E perchè si sono insediati proprio lì, staziandosi e creando un loro villaggio? Alcuni studiosi collocano in questo sito di Orune la Caput Tyrsi (capo o sorgente del Tirso). Ho sempre saputo che la vera Caput Tyrsi si trovava nel territorio di Buddusò, dove adesso si trovano le rovine di “Sos Muros“; non credo che i romani si siano potuti confondere, scambiando le sorgenti del fiume Tirso per qualche altra cosa.

Tra la sorgente del Tirso a Buddusò ed il sito di Sant’Efis di Orune corrono circa 13,5 km in linea d’aria e non meno di 20 percorrendo una qualunque strada. Un errore di valutazione troppo ampio per poter essere credibile. Vero è il fatto che esisteva una strada che dalla zona dell’attuale Olbia conduceva a Calaris (la attuale Cagliari), il cosiddetto “Itineraio Antonino”, come ci spiega lo studioso M. Pittau: ”Itinerarium Provinciarum, stilato sotto l’imperatore M. Aurelio Antonino, detto «Caracalla» (211-217), indica in Sardegna, un tracciato di strada che andava da Olbia a Caralis passando nella zona interna e montana dell’Isola e toccando queste tre mansioni o stazioni intermedie tra cui Caput Tyrsi …” Ma, esisteva anche la strada che dal centro della barbagia (Orune e territorio circostante) conduceva al Portus Luguidonia o Feronia (tra Posada, Siniscola e la sua caletta). Data la presenza di numerosi residui di derrate alimentari (area romana) trovate presso il sito di Sant’Efis, assieme a ciotole, anfore ecc. ecc., altro non poteva essere che una zona di ristoro e di scambi commerciali, un pò come lo sono gli odierni “Motel” con annessi bar e ristoranti che troviamo nelle nostre strade. Nota curiosa ed interessante è quel che ci dice sempre lo storico M. Pittau a proposito del nome della località (Sant’Efis) nel suo saggio intitolato:

“Caput Tyrsi «Il guerriero Efisio ha combattuto i barbaricini» “.

Secondo il prof Pittau, Efisio (santo venerato in tutta la Sardegna e morto martire (decapitato) a Nora nel 303/305 d.C., essendo un militare delle milizie romane, combattè contro i barbaricini e proprio questo di cui parliamo è uno dei pochi luoghi, nella zona, in cui, da diversi secoli, si ricorda il santo. Esiste anche un colle che viene chiamato “monticello del martire”, a lui dedicato, secondo Pittau. Tra i rinvenimenti di questo luogo, ciò che mi ha particolarmente colpito è il ritrovamento di un calice romano in vetro. Spesso ho sentito dire che il vetro, in Sardegna, si sia iniziato a lavorarlo in un periodo molto tardo … e se in quella zona ci fosse stata proprio una fabbrica del vetro? Illusione la mia, ma chissà… La chiesetta di Sant Efisio viene datata al periodo bizantino, ma è ancora in fase di studio la sua precisa collocazione storica. La zona dall’ultima campagna di scavi (2007), attende l’inizio di nuove indagini da parte delle autorità preposte, come, più volte, le stesse autorità municipali hanno sollecitato. Infatti, data l’importanza acquisita dal sito, il comune di Orune vorrebbe renderlo fruibile al grande pubblico.

Ancora una volta fascino e mistero avvolgono la nostra storia, e perchè no, ci auspichiamo che il ritrovamento di quel calice possa essere il preludio di un brindisi per una prossima e celere apertura al pubblico di questo incantevole sito che potrebbe essere un vanto ed una fonte di ricchezza per Orune, il suo territorio e per tutta l’isola

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